Caro Direttore, ringraziandoti anticipatamente per l’ospitalità e la speculare rilevanza che vorrai certamente dare a questa mia (non foss’altro che per un elementare diritto di replica), con la presente si intendono confutare alcune affermazioni fatte da Antonio Monteleone in una lettera inviatati a proposito delle attività svolte dalla Fondazione Mediterranea a tutela dell’immagine della città e pubblicata con imbarazzante evidenza. Per brevità non si citeranno passi della lettera in questione, reperibile sul tuo www.strill.it, né dell’articolo di Maltese, reperibile sul sito www.fondazionemediterranea.eu: ambedue si commentano e chiosano da soli. Mi scuserai, inoltre, se nel seguito mi rivolgerò direttamente a Monteleone, che reputo intellettualmente onesto pur stigmatizzando le sue proposizioni e che, comunque, ringrazio per aver sopravvalutato il potere di condizionamento sui media attribuito alla Fondazione Mediterranea.
Lo scrivente negli anni Novanta ha subito ben tre procedimenti per diffamazione a mezzo stampa per il solo fatto di aver divulgato in maniera non corretta, ovvero enfatizzata e reiterata, fatti assolutamente veri. Uscitone fortunatamente illeso e risarcito, lo scrivente sa quindi bene quale potere di veto per chi scrive possa essere rappresentato dalla minaccia di querela per diffamazione; ma conosce altrettanto bene il potere che risiede nella penna di chi informa sui fatti in maniera erronea o fuorviante. Lei parla di “cazzate” scritte da Curzio Maltese: io, quelle che lei chiama benevolmente “cazzate”, le chiamo diffamazioni sfuggite dalla penna a un giornalista poco o nulla oggettivo nel descrivere la mia città – non dico nostra perché lei stesso nella sua se ne è tirato fuori.
A dar fede ai fatti raccontati dal Maltese, ad aprile dello scorso anno dovrei aver scoperto che mia moglie è malavitosa, che lo è anche uno dei miei due figli, che dei miei genitori uno lo è stato, che lo è la metà degli amici che frequento. Maltese, infatti, dice che “il 50% dei reggini è a vario titolo coinvolto in attività illecite”. Ma forse sbaglio: il giornalista di Repubblica potrebbe aver voluto assegnare una dimensione topografica più che antropologica al suo “50%”. In tal caso solo la zona nord o sud di Reggio dovrebbe essere abitata da mafiosi; oppure dovrebbero essere collusi con la mafia solo gli abitanti ai numeri civici dispari o pari. Secondo un’ulteriore interpretazione del Maltese-Pensiero, il discrimine potrebbe essere rappresentato dall’età anagrafica. Insomma, in qualunque modo le si analizzino, le affermazioni di Repubblica sono ridicole e sostanzialmente fuori da ogni logica che non sia quella della diffamazione.
Un giornalista dello spessore di Maltese non si può permettere di scrivere “cazzate” e, se le scrive, vuol dire che non è un buon giornalista: il che comunque non lo esonera dalle sue responsabilità.
Caro Monteleone, Maltese e la lobby della grande stampa non hanno bisogno di difensori d’ufficio: è Reggio che ha bisogno di essere difesa. La mafia non si combatte con le pagine di giornale che, dopo il botto mediatico utile solo alle vendite, lasciano il tempo che trovano e le persone per bene annichilite: la mafia si lotta, oltre che con la cultura, con una magistratura che, operando fattivamente e in silenzio, sia un po’ meno dedita alle conferenze stampa e alla gestione del suo potere. E questo gli ascari indigeni della grande stampa, quelli che hanno fornito al Maltese le dritte sbagliate, lo dovrebbero sapere.