Entravo allora nell'adolescenza e gli attori protagonisti (Yul Brynner, Steve McQueen, Charles Bronson e James Coburn) sono rimasti per molti anni i miei idoli.
Degli attuali protagonisti maschili della ridicola pièce "I sette contro Scopelliti" (Cesare Marini, 1938; Marco Minniti, 1956; Francesco Laratta, 1959; Nicodemo Oliverio, 1956), tristi emuli dei citati quattro, per motivi anagrafici solo Marini ha un'età tale da poter aver visto in prima visione il capolavoro di John Sturges. Ma gli altri non è che siano tanto giovani da non poter avere visto e apprezzato "I Magnifici Sette". Hanno tratto dal film l'ispirazione per la loro dell'interrogazione parlamentare al Premier Mario Monti?
Scrivo come un normale contribuente reggino che, con le sue rimesse, ha contribuito in parte alla costituzione di quei tesoretti di partito che, come è risaputo, sono gestiti con modalità non lontane da quelle stigmatizzate come "massoniche e mafiose" dai sette parlamentari del PD. E in questa veste, postomi quesiti, azzardo risposte.
Cesare Marini, Marco Minniti, Rosa Villecco Calipari, Maria Grazia Lagana' Fortugno, Franco Laratta, Doris Lomoro e Nicodemo Oliverio, firmatari dell'interrogazione parlamentare agli onori della cronaca, non possono disconoscere: 1) che l'eventuale collusione in Calabria della politica con la mafia non ha colore e che attraversa trasversalmente tutti gli schieramenti; 2) che questa dipende dalle singole persone e non dalle divise politiche che si indossano.
Lungi dal dedicare tempo e attenzione a problemi reali e concreti, i sette, impiegando il tempo loro pagato dai contribuenti, interrogano Mario Monti sui fatti di Giardina e Scopelliti. Dato per scontato che non sono soggetti oligofrenici e che pertanto non possono illudersi che, con le problematiche nazionali in corso, ci si possa interessare a livello romano a questioni reputabili non più dignitose di beghe di cortile, è evidente che lo fanno per visibilità e immagine ovvero per alzare un po' di più il polverone mediatico.
Il fatto che, in riva allo Stretto come nelle altre città del Meridione italiano, vi possano essere "rapporti innaturali, inquinanti e delittuosi tra la ndrangheta e i politici", come affermato dai sette, li può esimere dal considerarsi, in quanto politici, corresponsabili di quanto da loro stessi denunciato? Il fatto che si affermi da parte dei sette la possibilità che vi possano essere "persone amiche e sodali con la delinquenza", li può escludere, in quanto politici, dal possibile ruolo di conoscenti o frequentatori delle citate "persone"?
Reggio, "città governata da una lobby affaristico-massonica diretta da una cupola formata da cosche", è una città del far west dove I Sette lottano per l'onore, l'amicizia e il rifiuto dell'ingiustizia? O, invece, è una città che con i suoi voti determina la scalata politica di personaggi, a volte inquietanti a volte ridicoli, legati a tutte le formazioni partitiche?
Non c'è schieramento politico che in città abbia rifiutato pacchetti, piccoli o grandi, di voti.
Pecunia non olet (il denaro non ha odore), dicevano saggiamente i Romani: oggi si potrebbe dire che il voto non ha odore. È un difetto del sistema democratico: il voto si conta, come appunto il denaro, ma non si pesa. E I Magnifici Sette pensano di cambiare la città con un'interrogazione parlamentare? Non lo pensano affatto: non sono mossi da amore per la città ma, come la quasi totalità dei loro colleghi, solo per il loro scranno.