Lunedì, 11 Gennaio 2010 14:06

ATTENTATO ALLA PROCURA E FATTI DI ROSARNO: SOLO DUBBI E NESSUNA CERTEZZA

Pensando e ripensando a quanto accaduto recentemente a Reggio, non si riesce a trovare una ratio: fatti e rifatti per l'ennesima volta, i conti continuano imperterriti a non tornare.

L'attentato alla Procura Generale, valutato da un particolare angolo di visuale, è Illogico e autolesionista; un marchiano autogol che ha spostato i riflettori mediatici e l'attenzione dello Stato sui presunti mandanti dell'atto intimidatorio, in contrapposizione netta con la politica del basso livello di visibilità che solitamente la ‘ndrangheta persegue. Illogico, quindi, se per logico si definisce un atto che ha un fine intellegibile e che non sia invece dovuto a cause sganciate da un coerente disegno che leghi queste ai loro effetti.

Per nulla funzionale agli interessi delle ‘ndrine, che sanno benissimo come mettere in atto ben più sofisticati mezzi di persuasione, l'attentato, lungi dall'aggiustare i procedimenti penali in corso, determinerà un irrigidimento del sistema giustizia che produrrà certi danni a quell'economia del "quarto settore" (cfr. www.diarioreggino.it) con la quale le cosche ripuliscono gli enormi profitti che il traffico della droga consente di ottenere. Opera di balordi o di frange delinquenziali senza controllo? È difficile pensare che ai bassi livelli si abbiano interessi che possano essere tutelati con intimidazioni alla Procura generale; come è arduo ipotizzare una lotta tra famiglie che sfoci in attentati inutili e dannosi. Cui prodest, quindi, il tutto?

I conti non tornano nemmeno per i fatti di Rosarno: a meno che, con gli strumenti della fanta-analisi, non li si voglia considerare come un rimedio sbagliato all'errore dell'attentato alla Procura ovvero come un maldestro tentativo di spostare l'attenzione della magistratura su di un fatto di impatto mediatico superiore.

La favola dell'insurrezione dei poveri negri contro la ‘ndrangheta, raccontata dai media nazionali, è difficile da poter essere bevuta: l'epopea del coraggioso uomo di colore che si oppone allo strapotere della mafia è una bufala mediatica; come anche una bufala è lo stereotipo del negro violento che scarica tutte le sue frustrazioni in una cieca furia distruttiva. Ogni razza o etnia o gruppo sociale migrante ha la sua mafia, che si collega con quella locale per il controllo di queste masse di derelitti: non è ipotizzabile che fatti del genere sfuggano ai controlli dei caporali neri e bianchi.

Ma anche la favola dei cittadini rosarnesi che, in un empito di razzismo, praticano la caccia all'uomo nero, anch'essa data in pasto dai media alla pubblica opinione nazionale, non può essere bevuta: chi ha un minimo di conoscenza del territorio sa bene che in paesi come Rosarno non è ipotizzabile un movimento autonomo e spontaneo popolare di queste dimensioni, che può essere voluto e organizzato solo da chi ha il controllo del territorio. Ma che vantaggio ne verrebbe alle cosche dal fomentare una rivoluzione di popolo dalla quale ne derivi la demolizione del lucroso mercato delle braccia nere?

Una spontanea domanda, che prescinde da qualsiasi valutazione di ordine morale: chi svolgerà il lavoro svolto dagli immigrati clandestini, dato che non è ipotizzabile che i rosarnesi si spezzino la schiena per 15 euro al giorno? a chi giova la perdita di tutta questa mano d'opera a buon mercato? Una volta che lo Stato avrà finito di sfoggiare i suoi muscoli, riposte le ruspe, si tornerà alla situazione quo ante: probabilmente, "colà dove si puote ciò che si vuole", si sta già lavorando al ricambio delle braccia.

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