Giovedì, 07 Gennaio 2010 07:49

ATTENTATO ALLA PROCURA ED ECONOMIA DEL "QUARTO SETTORE"

Roberto Saviano scrive su Reggio, sull'attentato dinamitardo alla Procura Generale, sulla ‘ndrangheta, sui rapporti tra questa e la società civile reggina (cfr. Repubblica del 5 gennaio): scrive cose giuste e il suo giudizio è coerente,

scrive bene e il suo stile è accattivante, scrive da scrittore e il suo racconto si sa imporre all'attenzione. Tra l'altro, quando abbandona l'aneddotica, fornisce dati angoscianti, nel senso che ci sbattono in faccia una realtà che, pur conosciuta, riusciamo a volte a nasconderci: il potere della ‘ndrangheta è soprattutto economico e, in quanto tale, solo scalfibile. Se è vero, infatti, che "pecunia non olet" (il denaro non puzza), come dice la fortunata locuzione romana, è difficile pensare che quello di dubbia provenienza possa essere identificato e tracciato sì che non inquini il mercato.

A tal proposito è sintomatica la domanda che si è posto Domenico De Masi, ordinario di sociologia del lavoro all'Università La Sapienza in Roma, nella sua conversazione con Sergio Zoppi, già presidente del Formez ("Il Sud tra progetto e miraggio", Meridiana Libri, 1993, pag. 69). De Masi si chiedeva, e chiedeva a Zoppi, se fosse possibile che dalle attività criminali potesse scaturire un'accumulazione primaria e, man mano che i soldi sporchi venissero riciclati in aziende pulite, una forma nuova di imprenditoria locale.

La risposta, naturalmente, non poteva essere positiva: però non sono riuscito a trovare nelle trenta pagine del capitolo "Criminalità organizzata e risposta dello Stato" (op. cit.) nemmeno una chiara e inequivoca posizione negativa. De Masi e Zoppi ammettevano che, in mancanza di uno Stato di diritto immediatamente percepito come tale da tutta la cittadinanza, nelle dinamiche di sviluppo locale fosse: 1) ineluttabile accettare la mafia come "mediatore sociale" (che esercita l'estorsione e protegge la vittima); 2) tollerabile tenere in conto la presenza del "quarto settore" (l'economia mafiosa che si aggiunge a quella pubblica, alla privata e a settore non-profit).

Dopo tre lustri possiamo ancora ritenere ancora valide queste considerazioni? Questa stessa ambiguità di giudizio sulla possibilità di usufruire di capitali di dubbia provenienza per lo sviluppo di una comunità la si avverte tuttora anche in persone di grande spessore culturale e al di sopra di ogni sospetto di collusione con la ‘ndragheta: si deve "obtorto collo" ammettere che l'idea non sia priva di un certo fascino.

Questa opacità di giudizio deriva dal fatto che, per giudicare le azioni umane, dobbiamo guardare non solo ai fini ma anche ai mezzi usati per raggiungerli: mentre per i fini il registro su cui giudichiamo è quello della giustizia, ovvero se un fine sia giusto o meno, per i mezzi si usa un altro criterio, ovvero quello della legittimità. Possiamo avere, quindi, oltre all'ipotesi ottimale del fine giusto e dei mezzi legittimi, anche un fine giusto perseguito con mezzi illegittimi o un fine ingiusto perseguito con mezzi leciti.

Nel caso del "quarto settore", ovvero dell'economia in odore di mafia, come per tutte le altre imprese il fine è quello asettico del guadagno e pertanto, secondo l'etica capitalistica che governa l'imprenditoria, è giusto. Una volta che il denaro illecitamente accumulato viene immesso nel circuito dell'imprenditoria formalmente regolare, l'unica vera discriminante tra l'economia normale e quella mafiosa è la possibilità dell'uso della violenza come mezzo per regolare i rapporti con la concorrenza e per accaparrarsi finanziamenti pubblici. È sui mezzi, quindi, palesemente illeciti, che si dovrà quindi giudicare il "quarto settore".

La plateale intimidazione a Salvatore Di Landro, senz'alcun dubbio da considerare estremo tentativo di piegare la volontà della magistratura verso decisioni funzionali a interessi privati, mostra i limiti di un modo di pensare che, pur condannando come non tollerabili tutte le attività illecite e non accettando come inevitabile l'intermediazione dei "mediatori sociali", sia comunque propensa a ritenere la presenza del "quarto settore" funzionale a ricadute utili in occupazione e benessere.

Al di là di tutte le disquisizioni teoriche, quindi, quando si usa la violenza per regolare i rapporti tra persone o come mezzo per raggiungere un fine, non può che esserci una secca alternativa: società civile o delinquenza organizzata. O noi o loro, quindi, senz'alcun dubbio o incertezza.

 

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