Ma esiste anche un altro modo di intendere una Regione, con un significato che, in parte inglobando i precedenti, acquista una valenza sua propria, immateriale: come se fosse più una Regione dello spirito che geografica. Una Regione identitaria, insomma, fatta di comuni sensazioni e affinità, di stessa storia e radici, di coincidenti interessi economici e commerciali. L'Area dello Stretto è tutto ciò: regione geografica nell'accezione più comune del termine; regione antropologico-culturale; regione storica; regione economica; regione identitaria. Non è, però, un Ente territoriale ovvero una Regione dello Stato.
Un sogno ricorrente nella maggioranza di chi durante la sua giornata volge lo sguardo, da oriente o da occidente, all'altra sponda dello Stretto: una Regione a cavallo dello Stretto con la sede del Consiglio a Reggio, com'è ora, e la Giunta a Messina, più grande e, seppur di soli 4 anni, più antica. Le sinergie turistiche al suo interno (basti pensare a Taormina, alle Eolie, al Museo Nazionale della Magna Graecia con i suoi Bronzi, alla Locride, al Parco dell'Aspromonte, ai Parchi Letterari, ecc), la posizione geografica e il suo particolare microclima caldo-temperato (ideale per far svernare i pensionati del nord Europa), le sue infrastrutture portuali commerciali e turistiche (quelle già esistenti, come Gioia Tauro e Messina, e quelle, ancora da realizzare, per la nautica da diporto), le istituzioni culturali rivolte al grande bacino del Mare Nostrum (tre Università, di cui due statali e una privata riconosciuta - l'Università per Stranieri Dante Alighieri -, i Conservatori Musicali, l'Accademia di Belle Arti, ecc.), la farebbero divenire nel giro di qualche decennio una delle regioni più ricche d'Europa e, forse, la più ricca del Mediterraneo.
Questa grande utopia della Regione Autonoma, però, ha generato una sorta di paralisi; e l'idea di un collegamento stabile tra le due sponde (errato paradigma della Città metropolitana dello Stretto) ha a tal punto polarizzato tutte le attenzioni da distoglierle da quanto si sarebbe potuto fare, nel senso di maggiore integrazione, e non si è fatto. Continuiamo a sognare, quindi, ma rimaniamo con i piedi ben piantati in terra. Ciò che ora si può e si deve fare, soprattutto dopo l'istituzione con legge nazionale dell'Area metropolitana di Reggio Calabria ma anche indipendentemente dal potere romano, è lavorare sinergicamente, partendo naturalmente dal sistema dei trasporti, all'integrazione turistico-commerciale oltre che antropologico-culturale tra le due sponde: con l'obiettivo di creare, nel concreto oltre che amministrativamente, una Città metropolitana dello Stretto a cavallo tra le due Regioni che, con le sue Provincie, realizzi l'idea di una "regione economica" di fatto.
L'importanza di una simile realizzazione è di palmare evidenza se si dà uno sguardo alle possibili proiezioni, in mancanza di correttivi, per il 2030-2050: per ricchezza e densità abitativa la Sicilia potrà avere solo due poli di sviluppo metropolitano, occidentale e orientale; la Calabria, con due milioni di abitanti, uno solo; Messina, nonostante sia per legge regionale città metropolitana, sarà destinata a essere la periferia nord dell'area metropolitana di Catania; Reggio, pur essendo la più grande e ricca e antica città della Calabria, se l'istituzione della sua area metropolitana dovesse rimanere solo un atto amministrativo privo di concreti contenuti e ricadute territoriali, potrebbe altresì trasformarsi nella periferia sud di un asse di sviluppo che collegherà l'area urbanizzata della Piana retrostante il porto di Gioia, che si prevede per quella data di oltre 300.000 abitanti, alla baricentrica Piana di Lametia, col suo aeroporto internazionale, e a Catanzaro capoluogo di Regione.
Questo trend di marginalizzazione dell'Area dello Stretto potrà essere modificato solo con la creazione di un quarto polo metropolitano di sviluppo che, con una sua specifica identità e impronta turistico-culturale, sulla base iniziale di un "consorzio" interregionale di città metropolitane e con l'insediamento di organi di raccordo permanente che coinvolgano i sindaci dei comuni che si affacciano sullo Stretto, sia portatore di ricchezza e benessere per entrambe le Regioni. A questo punto la grande utopia della Regione Autonoma dello Stretto non sarebbe più tale: il "consorzio" metropolitano, divenuto di Provincie, tramite un referendum popolare si potrebbe strutturare, eventualmente sulla falsariga dell'unione di provincie autonome già esistente tra Bolzano e Trento, in una Regione dello Stretto.
"Il faut cultiver notre jardin" ("Dobbiamo coltivare il nostro orticello"). Salman Rushdie, in un suo pezzo su Repubblica, così ha interpretato l'espressione che Voltaire mette in bocca al suo Candide: "Così finisce la grande fiaba, suggerendo che in tempi spaventosi sarebbe buon consiglio tenere lontane le menti dalle grandi idee e i nasi fuori dai grandi affari, e limitarsi a coltivare l'orticello". E l'Area dello Stretto, su scala planetaria, è poco più di un piccolo orticello. Quindi, cadute le grandi ideologie del pensiero politico occidentale, e constatato che "la pensée unique" (ovvero quella forma di "pensiero unico" che tende a giudicare le umane cose e vicende col solo criterio del rapporto costi/benefici) ha ridotto la politica a mera gestione del presente, lasciatisi alle spalle le contrapposizioni tra destra e sinistra, occorre concentrarsi sui problemi concreti e risolvibili del nostro piccolo orticello: senza voli pindarici, e un po' seguendo la lezione di Karl Popper, occorre costruire una pragmatica azione sociale fatta di piccoli passi e concreti avanzamenti in un'ottica localistica e, last but not least, politicamente neutra.
Citiamo ancora una volta Popper, affinché le sue parole servano di augurio e sprone: «L'ottimismo è un dovere. Il futuro è decisamente aperto. Esso dipende da noi; da tutti noi. Dipende da quello che noi facciamo e faremo; oggi, domani e dopodomani. E quello che facciamo e faremo dipende a sua volta dai nostri pensieri; e dai nostri desideri, dalle nostre speranze, dalle nostre paure. Dipende da come vediamo il mondo; e da come valutiamo le possibilità largamente disponibili del futuro. Quando dico che "l'ottimismo è un dovere" non dico solo che il futuro è aperto ma che noi tutti lo configuriamo attraverso quello che facciamo: noi tutti siamo corresponsabili di quello che sarà».
Un ottimo contributo, "doverosamente ottimista", alla realizzazione di questa idea di città-regione è sicuramente dato dagli scatti fotografici riportati nel volume "Lo Stretto indispensabile: un racconto per immagini di una Regione necessaria" (che verrà presentato: a Reggio sabato 23 maggio alle ore 10 a Palazzo San Giorgio; a Messina il successivo lunedì 25 alle ore 11 al Palazzo della Provincia). Quasi immagini riflesse di "desideri e speranze e paure", queste fotografie sono opera di uno spaccato di quelle giovani e valide intelligenze attraverso le cui produzioni sarà configurato il "futuro aperto" dell'Area dello Stretto.