Alexis de Tocqueville, sbarcato nel 1831 a Newport nel Rhode Island proveniente da quella Francia in cui l’ancien régime non era riuscito a generare uno stabile regime democratico neanche dopo la rivoluzione del 1789, studiò e pubblicò nel suo La Democrazia in America i termini nei quali oltre oceano si fosse potuta raggiungere una struttura statuale compiutamente democratica shakerando: amministrazione decentrata; associazionismo volontaristico; pragmatismo individualista. Mentre nel suo paese d’origine, come analizzato nel suo L’ancien régime e la rivoluzione francese: la centralizzazione dello Stato aveva annientato le strutture sociali intermedie; la Chiesa si era identificata con la repressione statuale; gli intellettuali, dogmatici e allergici al pragmatismo, cercando con la rivoluzione di edificare in terra una struttura perfetta, erano approdati al dispotismo e al terrore.
Quasi centocinquanta anni dopo, negli anni Settanta del Novecento, il politologo e sociologo statunitense Robert Putnam, formatosi alle università di Yale e del Michigan, volendo consapevolmente seguire a ritroso l’esperimento culturale di Tocqueville, ha l’idea di osservare l’andamento dell’esperimento di decentramento regionale italiano e di analizzare come le tradizioni di associazionismo e di impegno civico, o la loro assenza, abbiano influenzato l’azione politica facendo , o non facendo, prosperare una compiuta democrazia.
Il Putnam, dopo 20 anni di interviste e studi statistici, nel 1993 pubblica Making Democracy Work (tradotto in Italia da Mondadori con titolo La tradizione civica delle regioni italiane): vi afferma che la sostanziale diversità tra le regioni del centro-nord e quelle del sud – in rendimento di governo, oculatezza amministrativa, partecipazione democratica – consiste nella diffusa presenza o assenza del c. d. senso civico ovvero di un costrutto sociale, che l’autore definisce col termine di “comunità civica”, presente e storicamente radicato nella tradizione degli istituti comunali del centro-nord, assente o quasi al sud.
Come affermato da Sidney Tarrow (Un’America all’italiana - Il Mulino 1/1997), “la prosa di Putnam si rabbuia quando descrive il Sud”. Così infatti scrive il politologo statunitense: “La vita pubblica è qui organizzata in modo gerarchico. (…) Sono pochissimo coloro che partecipano alle decisioni riguardanti il bene pubblico. L’interesse per la politica non è dettato dall’impegno civico, ma scatta per obbedienza verso altri o per affarismo. Raro è il coinvolgimento in associazioni sociali e culturali. La corruzione viene considerata una regola dai politici stessi. I principi democratici vengono guardati con cinismo”.
Questa impietosa analisi (che attribuisce comunque un po’ troppo semplicisticamente il gap nord/sud in senso civico quasi esclusivamente al fatto che le società comunali del nord affondano le loro radici nella tradizione delle città-stato del tardo medioevo, che il sud non ha avuto) pur imprecisa e lacunosa – e a volte sostanzialmente errata (come per quanto riguarda l’associazionismo) – ha tuttavia un’impostazione sostanzialmente corretta. Questa correttezza formale, comunque, non riesce a produrre quell’esaustività che ci si aspetterebbe.
Putnam, infatti, non dice che: il germogliante interesse, nel cittadino meridionale, per la gestione della cosa pubblica; il progressivo diffondersi, tra chi era stato abituato a chinare il capo al potere, di un cosciente pensiero politico autonomo; il lento formarsi, in chi si stata un po’ alla volta affrancando dai bisogni primari, dell’idea di bene comune; la creazione, insomma, di quella che Putnam chiama “comunità civica”; tutto questo, nel secondo dopoguerra, venne soffocato in culla dalla dissennata politica assistenzialistica dei governi romani del tempo.
È così che l’apogeo della dissennatezza assistenzialistica venne da noi raggiunto negli anni ’70 con il Centro Siderurgico a Gioia e la Liquichimica a Saline. Oggi, mutatis mutandis, si inseguono altre chimere e si seguono altri pifferai: mentre ci si ostina a rifiutare le logiche del mercato energetico internazionale, si aspetta che Catanzaro risolva il problema di Saline e ci si illude che la Regione “assista” l’area accompagnandola per mano verso un radioso futuro turistico.
Andati via gli Svizzeri della Rezia, le cose resteranno così come sono e il cittadino reggino – pur ormai sdoganato e ammesso, anche se con riserva, a quella definita da Putnam come “comunità civica” – rimarrà sempre vassallo del politico di turno, interessato più alle misere rendite della staticità che al rischio dell’investimento sociale.