Frequento Gambarie durante il periodo estivo fin da bambino e posso dire che non sia passato un solo agosto in cui non vi abbia trascorso almeno quindici giorni: ho avuto così modo di osservare i sui cambiamenti e di ricordarli per un lasso di tempo che si avvicina al mezzo secolo. I ricordi sono particolarmente vivi e precisi dalla fine degli anni Sessanta in poi ovvero dopo che mi ero lasciato definitivamente alle spalle il modo sognante di vedere e interpretare la realtà tipico del periodo preadolescenziale.
Nei primi anni Settanta Gambarie, pur meno estesa e conosciuta, pur con minore ricettività alberghiera e offerta di ristorazione, con il suo edificato discretamente nascosto dalla vegetazione, era più coerente all’idea di paesino turistico montano di come lo sia oggi: era più frequentata dai giovani, anche con una discreta vita serale-notturna, che avevano il loro punto di riferimento nei pressi del laghetto di Rumia, alla Baita e alle strutture sportive (piscina e campi da tennis) collegate con l’albergo; la ritualità delle passeggiate mattutine, insieme al lento scorrere del tempo pomeridiano, faceva del paesino un’ambita e fresca oasi di quiete per gli anziani; la percentuale di villeggianti della Sicilia Orientale, messinesi e catanesi, era statisticamente rilevante sia in villa che in albergo e movimentava l’ambiente quel tanto che bastava; la complicità tra nonni e nipoti (tipologie antropico-sociali in via di estinzione) era esaltata da sempre nuove scoperte di luoghi “inesplorati” a meno di un tiro di schioppo da piazza Mangeruca.
Insomma, a quei tempi Gambarie, pur senza alcuna particolare pretesa di “decollo”, era in grado di offrire un gradevole soggiorno: ai giovani (ormai comparsi da almeno un paio di lustri, dopo essere progressivamente diminuiti dalla fine degli anni Settanta in poi proporzionalmente alla diminuzione dell’offerta ludico-ricreativa); ai forestieri (anch’essi scomparsi: ville vendute e alberghi disertati per i prezzi troppo alti e assolutamente non concorrenziali con altre località montane); alle famiglie con anziani e bambini (con un mercato dei fitti di villette molto vivace e con tariffe alberghiere accessibili).
Poi avvenne che, quasi per una specie di contrappasso proprio nel periodo di istituzione del Parco Nazionale, si decise di far “decollare” turisticamente il paese: azzerando migliaia di metri quadri di bosco a ridosso del centro e intubando un torrente per costruirvi sopra quella desolante e alienante “piazza nuova” che, ospitando stabilmente bancarelle di extracomunitari e di venditori di varia paccottiglia, è divenuta ambita meta dell’anonimo gitante domenicale in copricostume che nulla porta al paese; abbattendo alberi secolari per creare un parcheggio che, col suo ingresso non segnalato e di fatto nascosto, è desolatamente vuoto anche di domenica; continuando ad abbattere alberi per costruire marciapiedi in cemento e ringhiere in ferro (quando in tutto il mondo i percorsi pedonali di montagna si fanno in terra battuta e con protezioni laterali in legno); reiterando gli abbattimenti degli alberi per costruire immondi casermoni (i cui minialloggi sono rimasti tristemente invenduti e a volte lasciati in rustico); lasciando abbandonati quei percorsi e sentieri che un manipolo di volontari aveva a sue spese individuato e reso fruibili; concentrando le energie su una omologata ristorazione domenicale e, tranne poche ma brillanti eccezioni, su quei quindici giorni di metà agosto in cui comunque vada gli alberghi si riempiono. Insomma, dagli anni Ottanta in poi in Gambarie è come se la montagna, con la sua cultura e il suo verde, fosse stata vista non come una risorsa ma come un nemico da combattere.
Ora le cose potrebbero cambiare, anche grazie a imprenditori illuminati e a una nuova amministrazione comunale. Michele Zoccali è un medico specialista in neuropsichiatria e, da qualche anno, è anche sindaco del comune di Santo Stefano in Aspromonte. Riversata, come è logico che accada, nella sua attività di servizio alla collettività il know how professionale e data a questa sua nuova esperienza l’impostazione scientifica che gli è congeniale, sta tentando con decisione e intelligenza di arginare la descritta deriva: con una maggiore attenzione alle esigenze di villeggianti e turisti, visti non come polli da spennare ma come una risorsa da mantenere e possibilmente incrementare; mettendo un po’ d’ordine in un ambiente antropologico la cui brillantezza d’ingegno non è proverbiale; ponendo in cantiere attività che rendano più godibile il soggiorno; attivando, infine, utili joint con l’Ente Parco. Le resistenze però sono molte: sarà difficile modificare prassi comportamentali stratificate nel tempo. Staremo a vedere.