I disposti approvati dal Governo Letta non hanno tenuto conto delle indicazioni nate l'8 marzo in Villa Celimontana, che comunque ci sembra il caso di riassumere in questa sede data la profondità delle analisi effettuate e l'originalità della proposta.
La ridefinizione dei perimetri amministrativi italiani non può effettuarsi senza un'esatta ed esaustiva contezza dell'iter storico e del senso delle scelte che hanno determinato l'attuale assetto, le cui finalità vanno inquadrate nel contesto di utilità territoriale dell'epoca in cui furono fatte (che non corrisponde più al maggiore intesse attuale). Partendo da questa constatazione, secondo i geografi italiani, e considerando la natura essenzialmente urbana dell'insieme geografico dello Stivale, è profondamente sbagliato privilegiare l'ente regione, costrutto prevalentemente artificioso senza forte base identitaria, a scapito dell'ente provincia, modellato invece su aree urbane che rimandano all'ente comune, il vero scrigno identitario italiano.
La proposta della Società Geografica Italiana parte dalle riflessioni di metà degli anni Settanta, contenute del c. d. "Progetto 80" da considerare il padre di tutte le riflessioni successive, in cui si ipotizzò un nuovo assetto territoriale italiano per armonizzarlo alla modernità del sistema insediativo e produttivo derivante dalla "rivoluzione" degli anni Sessanta. Il "Progetto 80", più volte citato in precedenti scritti, tra l'altro fu il primo studio che rappresentò idealmente l'Area Integrata dello Stretto che si sarebbe dovuta basare su tre livelli: urbano, provinciale e regionale.
Nella proposta viene inserito il concetto di "ecosistema urbano". Questi sistemi, in numero di 36, nati dall'accorpamento di alcune provincie e dalla scomparsa delle regioni, sarebbero diventati una sorta di provincie-regionali, assommando in sé struttura e funzioni di dell'ente provinciale e regionale. Nulla ostava che in questo disegno, da cui derivava una notevole semplificazione amministrativa con relativi risparmi, dieci "provincie regionali" fossero definite come città metropolitane.
L'ipotesi, un po' troppo all'avanguardia e troppo semplice e logica e razionale per poter essere digerita dal legislatore, che nella complessità che adora trova sempre il modo inserire i propri interessi, naturalmente non è stata presa in considerazione. Per la nostra città sarebbe stata l'optimum in quanto la Calabria sarebbe stata destinata a riformularsi amministrativamente in un assetto che avrebbe previsto: a nord un raggruppamento delle provincie di Cosenza, Crotone, Catanzaro e Vibo; a sud una città metropolitana, con il perimetro della nostra reggina, assolutamente autonoma rispetto al vecchio contesto regionale.
Il sogno di una miniregione autonoma, ovvero libera di rileggere secondo i propri maggiori interessi la geografia dei rapporti privilegiati territoriali, si sarebbe così avverato.