gli ha procurato innumerevoli poltrone, sedie, sgabelli, telefoni, gli ha messo a disposizione clamorose tribune, inaudite moltitudini di seguaci e molto denaro. Gli ha insomma moltiplicato prodigiosamente le occasione per agire, intervenire, parlare, esprimersi, manifestarsi, in una parola (a lui cara) per “realizzarsi”. Sconfiggerlo è ovviamente impossibile. Odiarlo è inutile. Dileggio, sarcasmo, ironia non scalfiscono le sue cotte d’inconsapevolezza, le sue impavide autoassoluzioni (per lui, il cretino è sempre “un altro”); e comunque il riso gli appare a priori sospetto, sconveniente, “inferiore”.
Sembra la descrizione dell’homus politicus, soprattutto locale, e della sua ascesa sociale, della sua conquista di spazi d’intervento che con una carriera professionale normale non si sarebbe mai sognato di poter ottenere, del suo accesso alle fonti del potere, utopica meta di qualsiasi percorso lavorativo che non passi attraverso il non-lavoro della politica.
Insomma, a ben guardare, un po’ parafrasando il detto di uno scomparso grande esponente del foro reggino che definiva il magistrato come un avvocato fallito, si potrebbe dire che il politico sia un professionista fallito. Eppure sono loro, i politici, veri interpreti della “bêtise” elegantemente descritta da Fruttero e Lucentini, coloro che comandano, inciuciano, trescano, trasversalizzano, affarizzano, e così decidono le sorti di tutti noi. Che dovremmo stare zitti? Magari obbedir tacendo?
Un'altra citazione, di Karl Popper, su di un registro diverso, quindi.
Contrariamente alle massime autorità romantiche e contemporanee, io non credo che il compito del filosofo sia quello di dare espressione allo spirito del suo tempo: io credo, come d’altronde anche Nietzsche, che un filosofo dovrebbe continuamente chiedersi se egli non cominci, in fondo, a fare concessioni allo spirito del tempo tanto da mettere in pericolo la propria indipendenza spirituale. Sono pienamente d’accordo con Hugo von Hofmannsthal quando nel suo “Buchder Freunde” scrive “La filosofia è il giudice di un’epoca; è brutto se essa ne è invece la sua espressione”.
Proviamo a sostituire la filosofia con i Club Service. Devono questi essere l’espressione del loro tempo, ovvero chinarsi, supplici o complici, alla “bêtise” dei nostri politici e amministratori, oppure tenere la schiena dritta per porgere senza ossequi di sorta le proprie idee di bene comune alla riflessione collettiva? La seconda scelta a noi, uomini liberi, sembra scontata. Ma non è così: è una scelta che va costruita e condivisa, che non può essere imposta sol perché la si ritiene migliore.
Un tentativo di opporsi alla “bêtise” è certamente rappresentato dal Forum dei Club Service reggini sulla Città Metropolitana (Sala G. Levato di Palazzo Campanella, venerdì 25 ottobre 2013)