Una città che era riuscita a divenire risorsa per se stessa, viene messa sotto assedio con un'operazione di discredito che non conosce sosta e che si avvale, oltre che della strumentalizzazione a fini politici delle indagini giudiziarie (finalizzate alla rimozione del marcio che alberga in ogni società e all'individuazione di precise responsabilità personali) anche dell'aiuto del partito mediatico Repubblica-Espresso.
Sfuggito ai più, l'inizio della campagna diffamatoria nei confronti della nostra città parte oltre un lustro fa con una serie di articoli e interventi finalizzati a demolire quanto fino ad allora si era costruito. Non ci è dato di sapere se vi furono o meno mandanti, fatto sta che le truppe del partito Repubblica-Espresso furono ampiamente aiutate e supportate e indirizzate dall'interno delle mura cittadine.
È così che Il 25 aprile del 2007 venne pubblicato su Repubblica un articolo ("Il colosso della ‘ndrangheta che soffoca Reggio"), a firma Curzio Maltese, fortemente lesivo dell'immagine della Calabria e, soprattutto, di Reggio: non solo per un palese eccesso di critica ma anche perché, tra altre bufale, veniva addirittura affermato che "la metà della popolazione reggina è a vario titolo coinvolta in attività malavitose".
Affermazione palesemente diffamatoria e contro la quale la Fondazione Mediterranea, assistita dall'avv. Natale Carbone, ha sporto querela a nome e per conto della cittadinanza reggina. (Iscrizione a ruolo presso il Tribunale di Roma del 31 maggio 2007). La causa, con alterne vicende, è ancora in corso.
Oggi la Fondazione Mediterranea (personalità giuridica riconosciuta dalla Regione Calabria, con legge regionale n. 22 del 5 ottobre 2007 al comma I dell'articolo 11, come "fondazione di partecipazione" cittadina i cui "soci fondatori" sono, oltre alla promotrice Associazione Mediterranea Rhegion, il Comune e la Provincia di Reggio Calabria), con un'ottica assolutamente non politica, intende riavvalersi della propria funzione di rappresentanza della società civile regina per riaffermare a chiare lettere che l'assoluta maggioranza della popolazione e reggina non ha nulla a che fare col malaffare e con quei gruppi o comitati elettorali che, pur di conquistare Palazzo San Giorgio, non si fermano nemmeno di fronte alla sua demolizione.
È di palmare evidenza (e gli ultimi due articoli pubblicati sull'Espresso lo dimostrano) che siamo di fronte a un lucido e premeditato e ben calibrato tentativo di orientare l'opinione pubblica verso un'immagine di Reggio che definire falsa è un eufemismo. La tecnica usata è sempre la stessa: abdicare al dovere deontologico primario del giornalismo, quello dell'obiettività. Pur non riportando dati sbagliati, si riportano solo quelli funzionali a disegnare strumentalmente una situazione o circostanza: va da sé che un impianto di tal genere, pur riferendo notizie esatte, finisce con dare un quadro assolutamente inesatto della realtà nel suo insieme. Questo non è giornalismo, è diffamazione, è fare bassa politica, è finalizzare e piegare il proprio lavoro al servizio di una causa partigiana.
La società civile reggina non si riconosce in nessun partito-fazione, né in quello di Repubblica-Espresso né il quello di una frangia della magistratura né tantomeno in quello della ‘ndrangheta: non tifa per nessuno di loro e, pur rischiando di rimanere stritolata dai poteri forti come vaso di coccio tra quelli di ferro, non intende cedere al loro ricatto ed è determinata a far sì che nessun partito anomalo riesca a mettere le mani sulla città.