A questa affermazione si può benissimo obiettare che: nel mondo anglosassone i tabloid conditi con gossip e scandali sono quelli che vanno per la maggiore; chi si ostina a mantenere il citato aplomb rischia la chiusura; in Italia il giornale più venduto è un quotidiano-partito; chi contende a questi la leadership spesso cede a tentazioni moraliste. Tutto vero; ed è anche vero che: se non si ricama sulla nera non si vende; l'informazione veramente libera - quella recuperabile in internet - spesso non è qualificata né tantomeno controllata nelle fonti.
Stampa locale assolta, quindi? Nel generale degrado diventano peccati veniali quelli imputabili al giornalismo di città? Potremmo anche chiudere la questione, quindi, con un'assoluzione derivante dal non riscontrare nulla di sostanzialmente diverso, mutatis mutandis, da quanto osservabile a livello nazionale o internazionale?
Non proprio, perché la stampa locale ha l'obbligo imprescindibile di fare informazione soprattutto locale: come pubblica, in una sorta di esasperata par condicio, tutte le note provenienti da sigle politiche o sindacali, anche da quelle inconsistenti e superflue; lo stesso criterio dovrebbe usare per i comunicati delle libere associazioni di cittadini, eventualmente solo di quelle accreditate in una sorta di albo pubblico che ne attesti in qualche modo la rappresentatività sociale.
In questo sistema informativo distorto la c. d. società civile finisce col non avere voce, il libero pensiero di associazioni cittadine deve sottomettersi a una serie di umilianti forche caudine, tra cui quella più odiosa è rappresentata dal dover chiedere il favore della copertura mediatica di un evento culturale. La visibilità o meno di una produzione culturale, inoltre, può dipendere anche da fattori terzi e imprevedibili che nulla hanno a che vedere con la sua valenza.
Va da sé che, in questo quadro a tinte fosche, eccezioni ve ne sono e anche di discreta levatura; ma quest'ultima considerazione non cambia il quadro complessivo in cui, tra l'altro, la qualità media della scrittura e ideazione non si discosta molto dal livello raggiungibile in un temino prodotto nelle prime classi della scuola superiore.
L'informazione locale, quindi, mediamente sciatta, è particolarmente distratta nei confronti della libera espressione del pensiero della c. d. società civile: questo libero pensiero finisce con l'essere il classico vaso di coccio tra quelli di ferro, rappresentati questi ultimi dalla classe degli schiavi e da quella dei padroni. Che il libero pensiero sia inviso ai padroni, avvero ai politici e ai malavitosi, è intuitivo. Che sia mal tollerato dagli schiavi, ovvero dalla stampa asservita ai padroni, lo è meno.
All'uopo cito un brano di una lettera che mi inviò un paio di anni fa Pietro Corsi, docente di Storia della Scienza all'Università di Oxford e direttore responsabile oltre che cofondatore insieme a Umberto Eco de La Rivista dei Libri, in risposta a una mia in cui tessevo un sentito necrologio per la rivista dopo la sua chiusura: "La nostra totale libertà e indipendenza, il mio assoluto non protagonismo, e il non aver mai cercato la complicità delle varie caste in cui si articola l'attività culturale in Italia, ha creato una sorda ostilità nei nostri confronti. Vien proprio da dire che lo schiavo non odia mai il suo padrone quanto odia l'uomo libero".
Questa "sorda ostilità", usando le parole di Corsi, si avverte da parte dei media locali per la libera espressione del pensiero.