Martedì, 24 Aprile 2012 06:54

LA "FORTUNA" DELL'EDITORIA REGGINA

Qualche mese fa, nella libreria Feltrinelli di Roma, mi è capitato per le mani un opuscolo in cui era riportato un articolo di Giangiacomo Feltrinelli, pubblicato sulla rivista King nel 1967, in cui l'editore rispondeva ad alcune domande sul mestiere di editore. I concetti contenutivi ben si adattano a interpretare un'avventura editoriale nata nella nostra città partendo dall'iniziale domanda posta a Feltrinelli: perché nasce una nuova casa editrice o, meglio, perché qualcuno decide di fare l'editore?

Tra le professioni, quella dell'editore è la meno definibile, non foss'altro perché il suo posto sociale è definibile in molti modi. Nei tentativi di definizione ricorre spesso il termine "fortuna": un editore può costruire una buona fortuna con in suo lavoro; un altro, magari avendola già di suo, con l'editoria la può dilapidare. Ma il termine fortuna può assumere anche un significato non economico, più ambiguo, quasi "politico": è così che si può aver sfortuna commercialmente e fortuna socialmente, ovvero aver torto finanziariamente e ragione culturalmente.

Cosa può avere spinto, nel 2007, il CdA della Fondazione Mediterranea a far gemmare, in partnership con l'associazione Nuova Pediatria onlus, la Fondazione Editrice Sperimentale Reggina? Certamente non la speranza che arridesse una "fortuna" economica ovvero che l'impresa diventasse una passeggiata all'ombra di alberi di banconote: fu un "bisogno" ovvero una pulsione incoercibile a pubblicare ciò che piaceva pubblicare senza vincoli di resa economica, con la speranza di avere fortuna intellettuale e ragione culturale.

In altri termini, sottratta la propria attività al dovere d'impresa di far utili, non vi fu timore di agire avulsi dallo spirito del tempo e non si volle nemmeno rappresentarlo: con l'ambizione di indirizzare lo zeitgeist più che esserne interpreti, fu un agire indipendente dal presente ma con salde radici nel passato e proiezione cosciente nel futuro. Insomma, esempio assolutamente unico nel panorama reggino, si voleva fare un'editoria che avesse torto nella contingenza del momento storico ma ragione nel senso della storia cittadina.

Mi spiego. In una città la cui maggioranza degli abitanti non legge nemmeno un quotidiano, o al massimo sfoglia appena qualche pagina di quel finto giornale che va per la maggiore; in una città frastornata dalla falsa informazione i cui abitanti oscillano infruttuosamente tra esplosioni di rabbia e opaca placidità; in una città in cui è di riferimento per molti un sistema valoriale che si può definire tale solo in ambito subculturale; in questa città si voleva fare un'editoria nuova che, contrariamente a come fatto fino ad allora, non facesse tappezzeria sociale o imballaggio di narcisismi, verniciatura del nulla o produzione di superfluo.

In un ambiente in cui l'asfissia culturale era direttamente proporzionale all'ipertrofia di un certo tipo di pubblicazione-spazzatura, si voleva fare qualcosa di "necessario" ovvero - con una sorta di "abolizione della proprietà intellettuale" - realizzare un'utopistica fruizione cittadina libera e incondizionata di quanto ritenuto necessario.

Un sogno, che urtava contro una realtà che a giorni alterni voleva, e vuole, la piccola editoria viva o morta: mentre non è l'editoria che è viva o morta ma i singoli libri che sono vivi o nascono già morti. E sono vivi i libri "necessari": il cui valore è sottratto al giudizio del mercato; che colgono i cambiamenti intellettuali, le mutazioni estetiche, i viraggi morali, le nuove sensibilità; che rompono gli stantii schemi interpretativi e si proiettano, anche illuminati dalla forza dei paradossi, a infrangere immarcescibili pregiudizi.

Quella di far nascere l'Editrice Sperimentale Reggina è stata una piccola rivoluzione, insomma. Ma cosa vale una rivoluzione piccola che non smuove quasi nulla? Vale, vale! Dovendosi fare solo le rivoluzioni che si possono fare, in quel momento si poteva fare solo quella. Ma in futuro se ne potrà fare un'altra, e un'altra ancora; per poi farne una più grande: sempre comunque facendo "fortuna" pubblicando solo libri "necessari": quei libri che, se letti, fanno sempre qualcosa alle persone che li leggono.

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