Martedì, 20 Marzo 2012 07:47

GIÚ LE MANI DAGLI ALBERI DI PIAZZA DUOMO

Ho letto con attenzione la nota diffusa sui media circa la ristrutturazione dell'attuale assetto di piazza Duomo. Essa merita comunque un commento anche se, non immune da influenze archi-narcisistiche, non è attribuibile a fonti ufficiali cittadine. (Così si legge, infatti, nel successivo comunicato di Palazzo san Giorgio: "l'Amministrazione comunale smentisce la notizia,

apparsa sulla stampa, relativamente alla realizzazione di piazza Duomo secondo l'elaborato progettuale richiamato"; "La notizia è, pertanto, priva di fondamento e fuorviante. L' Amministrazione comunale in relazione alla proprietà ed al corretto utilizzo dei materiali divulgati, si riserva di valutare le eventuali azioni amministrative conseguenti").

La descrizione superficiale e approssimativa dell'idea progettuale, che avrebbe meritato una maggior attenzione per alcuni suoi aspetti che non possiamo definire marginali (flusso del traffico veicolare, sistemazione degli spazi a verde, illuminazione, ecc.), lascia non solo perplessi sulla bontà delle scelte estetiche ma anche fortemente preoccupati sull'impatto che una soluzione del genere avrebbe sulla vivibilità della zona.

Il rispetto della storia e delle tradizioni di un luogo si deve concretizzare, più che nell'esibizione forzata di ridondanti e retorici rimandi culturali, in progetti di ristrutturazione realmente rispettosi del passato e non in idee architettoniche che stravolgono l'impianto originario rifacendosi a discutibili schemi teorici.

Eppure le premesse erano buone: posto che la piazza ha perso il suo valore sacro e identitario, che è divenuta area di transito e sosta per vetture e che la fruizione pedonale è scoraggiata; si sarebbe voluto: ridare sacralità all'area, riorganizzare il traffico veicolare che impedisce l'accesso diretto dalla piazza alla cattedrale, eliminare i parcheggi, rendere pedonale l'area e ripavimentarla, riorganizzare il verde e l'illuminazione.

Ma da quanto è stato pubblicato si capisce solo che:

il sagrato continuerebbe senza interruzione nella piazza e sarebbe in travertino bianco, quindi destinato a divenire grigio in poco tempo e tempestato di macchie scure (come inevitabilmente avviene quando il materiale è poroso come quello scelto: basta vedere quanto successo a piazza Carmine per rendersi conto della demenzialità di simili opzioni);

la strada con direzione di traffico sud-nord che passa davanti al portone della cattedrale verrebbe interrotta (domande: scendendo da via Crocefisso dove si andrebbe? Il flusso automobilistico di via S. Francesco da Paola sarebbe deviato sul corso Garibaldi lungo il lato sud della piazza? per poi risalire in via Campanella lungo il lato nord? attraverso le strade ora presenti? Sono queste che - unica cosa ragionevole - verrebbero lastricate il pietra lavica? la possibilità di estendere l'isola pedonale del Corso includendovi piazza Duomo in tal modo verrebbe annullata?);

le zone rialzate che oggi sono pedonali e ombreggiate, protettive d'inverno e fresche d'estate, scomparirebbero per far posto a uno spazio aperto, esposto alle intemperie d'inverso e assolato d'estate.

Ma la cosa più grave è che, dopo aver letto il preambolo sulla storia sulle piazze italiane e reggine arricchito con un excursus sulla ricostruzione post terremoto del 1908; e dopo essersi goduta la chiusa infarcita di perle geo-vulcanologiche: materiali (travertino e pietra lavica) "reinterpretati e utilizzati come elementi della natura", "pietra lavica vomitata dal vulcano dalle viscere della terra", "forti presenze di natura che si fondono nel paesaggio urbano e naturale dello Stretto", "blocchi omogenei generati dall'estrusione del lastricato pavimentale, emergenti come per effetto di una forza sismica sussultante"; dopo tutto questo Ben di Dio di cultura architettonico-urbanistica, ci si accorge che non si sa che fine farebbero gli alberi.

Così proprio non va: a noi cittadini non interessa sapere quanto voi architetti siete bravi in storia dell'architettura e quanto i vostri pensieri siano capaci di volare alto nel contemperare la forza della storia con la forza della natura; a noi, banali mortali, interessano solo poche cose: che la piazza nuova sia migliore della vecchia, che sia sufficientemente bella e funzionale, che non diventi un corpo estraneo al nostro centro storico, tutto sommato regolare e dignitoso.

Non inventiamoci nulla di straordinario, quindi (anche perché le idee innovative a volte fanno una brutta fine: come quella di largo Orange in via Filippini, squallido esempio di pessima architettura urbana). A Piazza Duomo non vogliamo una "piazza icona" o un gioiello di archistar (ovvero un'opera d'arte architettonica dalla dubbia utilità urbanistica) ma un rifacimento composto e dignitoso che migliori, senza stravolgerlo, l'attuale impianto della zona.

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