qualche localista che avverte come troppo stretta un'identità territoriale che si rifaccia al solo ambito comunale. Poca roba, insomma, a fronte di una maggioranza piuttosto ampia e trasversale che, nonostante lo scoglio dell'art. 114 della Costituzione che espressamente prevede la presenza dell'Ente Locale intermedio tra Regione e Comune, considera l'abolizione delle Provincie un buon mezzo per semplificare la macchina burocratica statale e un utile strumento di controllo della spesa pubblica.
La macchina politica italiana, però,sembra incepparsi ogni volta che l'approccio al problema diviene più concreto dei teorici enunciati di principio. Eppure è da quando furono istituite le Regioni, ossia da circa quaranta anni, che si è avuta la consapevolezza dell'inutilità di un Ente amministrativo intermedio nell'Italia dei Comuni, veri detentori delle varie identità nazionali. Anzi, nonostante questa consapevolezza, il numero delle Provincie è cresciuto di dieci unità, di cui due in Calabria. Stavolta, comunque, dopo il maldestro tentativo del precedente governo di eliminare gli Enti intermedi con meno di 220 mila abitanti, la qual cosa ne avrebbe tolti una dozzina, limite posto successivamente a 200 mila, sembra che si faccia sul serio.
Ma le Provincie sono davvero una costosa macchina che produce stipendi parassitari o invece sono enti costitutivi delle varie identità nazionali come tante piccole patrie e, in quanto tali, necessarie a tenere insieme i vari localismi comunali che altrimenti sbriciolerebbero le varie identità in un unico e indefinito contenitore? La suddivisione dello Stato italiano in Regioni e Provincie e Comuni, con la sua schematizzazione, ha fin ora retto un sistema nazione unitario nel quale tutti ci si è riconosciuti ed è estremamente pericoloso metterci mano in modo, per così dire, casuale: ovvero con leggi che non siano comprese in un piano coerente e compiuto di riassesto dell'organizzazione statale.
La creazione delle Città Metropolitane ha già scompigliato questo schema ordinato e coerente in quanto il nuovo Ente, considerato "strutturale", ove presente è destinato a sostituire l'Ente Provincia di cui ne assumerebbe i limiti territoriali. Una soluzione a questa coabitazione sul territorio di Provincie e Città Metropolitane potrebbe essere fornita da un progetto di Legge Regionale della Regione Sicilia.
La novità siciliana, nell'eventualità dell'abolizione delle Provincie sicule, risiede nella creazione di "consorzi intercomunali": questi andrebbero a svolgere il ruolo e le funzioni delle Città Metropolitane, ove queste non fossero già presenti, e il loro ambito territoriale non necessariamente coinciderebbe con quello provinciale.
Presidenti e Consiglieri delle Provincie calabresi, più che arroccarsi in posizioni di sterile retroguardia, dovrebbero guardarsi attorno e, osservando e studiando ciò che accade vicino, pensare a un futuro diverso dall'oggi.