Sentenza, a mio avviso, anche troppo mite: la propria professionalità non la si può spendere per fini diversi dai professionali ovvero venderla o svenderla al potente di turno per timore o piaggeria o interesse; un commento-gossip "diffamatorio fino al dileggio" su immagini prive di interesse pubblico configurano un attacco alla persona che non può essere giustificato con nessun mezzo che faccia riferimento al diritto-dovere di informazione.
Si dà il caso, inoltre, che stranezze e stravaganze comportamentali, piccole manie e immotivate fissazioni, facciano parte integrante del vissuto quotidiano di persone assolutamente normali: sono come una valvola di sfogo e, come uno sfiatatoio di una pentola a pressione, servono a decomprimere un ambiente mentale a volte saturo di tensioni e preoccupazioni. Queste stravaganze sono più evidenti e maggiormente presenti negli uomini di scienza e di cultura, notoriamente portati a dare poca importanza al quotidiano e, pertanto, a controllarlo di meno. La mancanza di un po' di stravaganza nella vita privata è un merito delle persone modeste o mediocri, piatte o banali. Così mi sono espresso a caldo e oggi mi sento di riproporre lo stesso pensiero.
Ciò detto, non posso non constatare con discreta amarezza che la sanzione inflitta, deliberata a maggioranza, ha uno spirito chiaramente politico: alle sua origini non v'è la volontà di affermare l'etica giornalistica ma quella di accontentare la parte politica che ha pressato per ottenere la sanzione. Siamo in presenza di una guerra per bande che si insinua anche nei luoghi deputati alla salvaguardia di quell'etica professionale che con la politica non dovrebbe avere alcun rapporto.
Non risulta che l'Ordine dei giornalisti per fatti di analoga o maggiore gravità si sia mosso come nei confronti dei giornalisti di Canale 5. Un esempio tra gli altri, che ci riguarda da vicino. Il 25 aprile 2007 venne pubblicato sul quotidiano La Repubblica un articolo, a firma Curzio Maltese, fortemente lesivo dell'immagine della Calabria e, soprattutto, di Reggio. Farcito di affermazioni pretestuose, diffamanti non solo per un palese eccesso di critica ma anche perché basate su dati oggettivamente falsi, l'articolo nel suo complesso era a tal punto non veritiero da cadere perfino nel ridicolo: quando, ad esempio, vi si affermava che "la metà della popolazione reggina è a vario titolo coinvolta in attività malavitose". Nonostante le mosse operate a difesa della reputazione reggina, oltraggiata in spregio all'etica professionale, in mancanza di una sollecitazione politica, nulla si è mosso a livello ordinistico.
Pesi e misure che cambiano in relazione al potere dei committenti: pesi e misure dovrebbero essere sempre uguali; i committenti non dovrebbero esserci.