È discutibile, inoltre, che la presenza di un parco in un quartiere ne stabilizzi i valori immobiliari e ne aumenti la vivibilità: i parchi, infatti, sono luoghi mutevoli che cambiano in relazione alla frequentazione da parte delle famiglie, alla presenza nel loro contesto di piccole attività commerciali, alla cura che viene loro riservata, all'intensità del degrado e all'eventuale loro uso improprio. Come, infine, anche è dubitabile che i parchi facciano sempre godere la vista: la loro bellezza molto spesso è inversamente proporzionale alla fruibilità, nel senso che più sono curati meno sono utilizzabili per usi quotidiani, come ad esempio il passeggiare i cani.
Insomma un parco può essere una risorsa come può diventare un problema: tutto dipende non tanto da come lo si fa ma da dove lo si posiziona, da come lo si usa, dai servizi in esso presenti, dall'ambiente civico che lo circonda, dalla fauna umana che lo frequenta.
Le idee urbanistiche che piovono dall'alto, come la religiosa venerazione del concetto di spazio pubblico e la sognante adorazione del feticcio verde, possono arrecare più danni di quanto non ne derivino da un'insufficiente sensibilità ecologica. Si sono mai chiesti gli acritici epigoni del verde pubblico urbano, come fatto dall'urbanista Jane Jacobs nel suo The Death and Life of Great American Cities, perché "spesso manchi la gente dove vi sono parchi e questa brulichi là dove i parchi non vi sono"?
L'insuccesso di tanti parchi è determinato dall'essere inadatti, per collocazione e forma e dimensione oltre che per la mancanza di infrastrutture e attività commerciali o ricreative, ad assolvere la funzione di spazio pubblico fruibile quotidianamente: la mancanza di utenti fa sì che questi da risorsa divengano un problema, sia gestionale che di sicurezza. Ancora la Jacobs: "I parchi, come i marciapiedi o le piazze, non sono astrazioni né sono automaticamente dotati di qualità positive e influssi benefici: acquistano un senso solo se visti nei loro usi pratici e tangibili, quindi negli effetti concreti esercitati su di essi, in bene e in male, dall'ambiente urbano circostante."
Pensiamo ora al parco urbano reggino soprannominato "del tempietto": dal difficile accesso, senza servizi, non controllabile (se non tramite una costante presenza che somiglierebbe a quella dell'ufficiale di guardia nel "Deserto dei Tartari"), sostanzialmente avulso dal contesto urbano e senza interazione con esso, non utilizzabile se non sporadicamente per fiere o mostre, troppo grande per essere un giardinetto ben curato e troppo piccolo per essere un parco metropolitano in grado di ospitare infrastrutture di una certa importanza, sporco e degradato, ricettacolo di varia umanità e pericoloso da frequentare dopo il tramonto, è il paradigma di quanto detto prima: da potenziale risorsa è divenuto un problema.