Venerdì, 12 Dicembre 2008 09:29

ITALO FALCOMATÁ: LA SUA MEMORIA TRA FEDE E MITO

Passata ormai la giornata del ricordo e della commemorazione di Italo Falcomatà, intendo qui ricordare un aspetto della sua personalità: la memoria. Non quella che abbiamo di lui bensì proprio la sua personale.

 

All'epoca della sua malattia, la mia amicizia con Italo non poteva definirsi di antica data, risalendo alla campagna elettorale per palazzo San Giorgio che lo aveva visto contrapposto ad Antonino Monorchio. Uomini di spessa cultura e profonda umanità, pur ben distanti da qualsiasi possibile sovrapposizione per il divergente percorso politico e per la collidente visione dei mezzi per raggiungere il bene comune, grazie allo stile col quale portarono avanti le ragioni dei loro schieramenti, alla classe con cui fecero politica anche nei momenti di maggior tensione tra i poli, all'aplomb con cui resistettero alle spinte verso un confronto di più duro e di più basso livello, rimarranno un insuperabile esempio di come, pur schierati, si possa fare una politica cittadina "bella e buona": da umanisti intrisi di pensiero greco, convinti che il bello non andasse disgiunto dal buono (kalòs kài agatós), furono ostinati fautori di una politica fatta anche di amore per il bello e buono (kalokagatìa).

 

Ma torniamo a Italo. Quando intese onorarmi di amicizia e confidenze, la memoria fu uno dei tratti della sua complessa personalità che mi colpì maggiormente. La sua non era quella fredda memoria, frutto di alienanti esercizi di mnemotecnica, che di scatto riesce a tirar fuori dati e tabelle, numeri e casi; era bensì una memoria calda e fluida, dinamica e al tempo di calma espressività, vivace e insieme ordinata.

"Festina lente" ("affrettati con calma"): l'espressione, attribuita a Svetonio, scrittore romano del primo secolo, venne adottata come proprio motto da Augusto, che la fece incidere sulle monete che lo raffiguravano, e, nel Rinascimento, venne scelta dall' editore umanista Aldo Manuzio, che la riprodusse su ogni frontespizio. Se si potesse oggi attribuire un motto all'eloquio di Italo Falcomatà, non vi sarebbe espressione più adatta del latino "festina lente": il suo, con citazioni a braccio e circostanziati riferimenti, anche bibliografici, che condivano la prosa dandole spessore e verve, era un discorrere calmo e pacato ma che, senza soluzioni di continuità ovvero senza vuoti e cadute di tensione, portava quasi inesorabilmente alla conclusione voluta. Senza una poderosa e ordinata e sfruttabile memoria la sua dialettica non si sarebbe potuta avvalere dell'esperienza di un percorso di vita in cui lo studio aveva sempre affiancato l'impegno e non sarebbe potuta essere a un tempo calma e determinata.

Privati della sua presenza e rimasti con l'indelebile ricordo, parliamo oggi della sua memoria che, con un atto di fede, non vogliamo considerare perduta.

 

Bernardo Valli, in un pezzo su La Repubblica del 26 agosto del 2004 che ho quasi religiosamente conservato, così dice: "La memoria è deperibile, prezioso patrimonio dei sopravvissuti, esposto alla dialettica del ricordo e dell'amnesia. È una verità soggettiva insidiata dalle mode, interessi e sentimenti, annebbiata dalla nostalgia, traboccante di dettagli sempre più fluidi. Insomma, è ancora la vita, minata da fragilità e incertezze, ma unica e insostituibile." Se vogliamo considerare Italo ancora vivo sebbene in altro luogo e dimensione, non è esattamente così che la sua memoria va considerata: certamente unica e irripetibile, per la prematura morte del corpo non è più deperibile ed esposta a quella dialettica del ricordo e a quell'amnesia che caratterizza i "sopravvissuti". Insomma, ancora viva ma non più insidiata da mode e interessi e sentimenti, o minata da fragilità e incertezze e nostalgie, è come quella contemplata alle origini del pensiero e della civiltà greca nel culto di Orfeo; ovvero come quella presente nei misteri orfici che, originati dai riti dionisiaci, per mezzo dell'interpretazione pitagorica sfociarono nel pensiero platonico e, per suo tramite, nella ritualità cristiana.

 

Rileggiamo l'iscrizione sulla tavoletta orfica di Petelia, recante istruzioni per l'anima dell'adepto morto sul modo di trovare la strada per l'altro mondo e su ciò che avrebbe dovuto dire per dimostrarsi meritevole di salvezza: «Tu troverai sulla sinistra della casa di Ade una sorgente in un pozzo / e al suo fianco un bianco cipresso. / Non avvicinarti a questa sorgente. / Ma tu ne troverai un'altra vicino al Lago della Memoria, / acqua fredda che sgorga e davanti vi sono guardiani. / Di': "io sono un figlio della terra e del cielo stellato; / ma la mia razza è del Cielo soltanto. Questo lo sapete da voi. / E, mirate, io sono arso dalla sete e perisco. Datemi presto / l'acqua fredda che sgorga dal Lago della Memoria."/ E da se stessi essi ti daranno da bere dalla sacra fonte / e da allora tu avrai signoria tra gli altri eroi ...».

Attento studioso della storia e della cultura greca, credente affascinato dai miti, Italo sapeva che lasciando la vita terrena e avvicinandosi alla casa di Ade non avrebbe dovuto saziare la sua sete alla fonte del Lete, dell'oblio, ma alla sorgente Mnemosine, della memoria: se nell'altro mondo l'anima vuole raggiungere la salvezza non deve dimenticare bensì acquistare una memoria maggiore di quella terrena.

 

San Paolo (Epistola agli Ebrei, XI, 1) dice: «La fede è una certezza di cose che si sperano, e dimostrazione di cose che non si vedono». Ormai trascorso l'ennesimo anniversario della scomparsa di Italo, dimostrate le cose che non si vedono, abbiamo la certezza della nostra speranza: che i guardiani di Ade, a conoscenza che la sua "razza è del Cielo soltanto", gli abbiano dato da bere "l'acqua fresca che sgorga dal Lago della Memoria" concedendogli la salvezza e la "signoria tra gli altri eroi".

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Maggio 2009 16:43

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