Leggendo le notizie e i commenti fin ora pubblicati, si ha la netta sensazione che il dibattito sulla centrale a carbone di Saline non sia stato posto correttamente: sbilanciato verso questioni di interesse globale, ha finito con l’essere troppo poco attento alle concrete esigenze locali. Lasciate su di un diverso e più alto registro le questioni di ordine generale, occorrerebbe che il campo di osservazione e di riflessione fosse ristretto e organizzato secondo i bisogni e le necessità locali.
Per più di trenta anni abbiamo convissuto con la visibile carcassa dell’infranto sogno dell’industrializzazione; abbiamo consentito che l’innaturale molo portuale di Saline alterasse le correnti marine costiere sì che il mare si mangiasse le spiagge di Capo dell’Armi e di Lazzaro; abbiamo tollerato che un microecosistema lacustre-salato si distruggesse forse per sempre; non siamo stati in grado di proporre alternative valide al dissennato progetto industriale, che intanto si raddoppiava con l’altro monumento all’inefficienza rappresentato dalle Officine Grandi Riparazioni.
Per più di trenta anni non si è prodotto nulla tranne che parole, peraltro sempre più distratte o rassegnate. Poi, una mattina, ci si sveglia tutti ambientalisti: all’unisono si fa sentire il gracchiante ululo dei corni di guerra e come un sol uomo tutti si scagliano con feroci strali contro gli avvelenatori della SEI; finalmente si tirano fuori dai cassetti improbabili progetti di riconversione turistica dell’area e/o fantasiosi studi di riconversione degli impianti. Tutto questo senza analizzare compiutamente i progressi ottenuti negli ultimi anni con le centrali di ultima generazione nello sfruttamento pulito ed ecosostenibile del carbone; senza pensare alla ricadute occupazionali, sia in fase di costruzione che di attività produttiva; senza considerare l’indotto e la possibile riconversione anche delle OGR; senza essere consapevoli che quanto di caliginoso e sporco fatto vedere in brochure e depliant dai professionisti dell’ecologia si riferisce a un passato inquinante che abbiamo ormai alle spalle.
Insomma, le comunità locali hanno il dovere di controllare che gli imprenditori/investitori rispettino le leggi; che i programmi occupazionali siano rispettati; che il territorio abbia più ricadute positive possibili; che la popolazione non abbia a subire nocumento dalla presenza di insediamenti industriali inquinanti. Non è loro compito, ammesso che vi siano le dovute competenze, entrare nel merito di questioni che devono essere affrontare e risolte in altra sede.
Il campo di osservazione degli amministratori locali deve rimanere ristretto al territorio amministrato, che dev’essere organizzato secondo i bisogni e le necessità della popolazione. Queste necessità sono occupazione e benessere: in una terra povera non si avverte il bisogno di divenire paladini a proprie spese dell’integralismo ambientalista.
Tutti abbiamo il diritto di poter pensare globale, ovvero riflettere sui destini del mondo e sul senso della vita umana, sul futuro della Terra e su di uno sviluppo che spesso non coincide col progresso; ma nello stesso tempo tutti abbiamo anche il dovere di agire locale, ovvero saper far passare queste riflessioni attraverso il filtro degli interessi locali e tradurle in azioni concrete a beneficio delle persone che ci stanno più vicine.