Sembra che la SEI abbia deciso di porre in stand-by il progetto per la realizzazione della centrale a carbone “pulito” di Saline. L’investimento di quasi un miliardo di euro, esclusivamente privato, si basava su oggettive convenienze logistiche: adiacenza con la rete stradale e ferroviaria, presenza del porto proprio a ridosso dell’infrastruttura, breve distanza – circa 30 Km – dallo snodo elettrico su cui convogliare l’energia prodotta. La ricaduta occupazionale sarebbe stata di circa 800 unità in corso di realizzazione e di 400 a regime di produzione. Il prezzo da pagare per il territorio sarebbe stato relativamente limitato (per approfondimenti in merito vai a www.diarioreggino.it nella categoria “città libera” al pezzo del 4 luglio 2008) e comunque lo stesso che in altre parti d’Europa si sarebbe ben felici di pagare. Nonostante questo, dopo la netta opposizione della Regione Calabria per bocca dell’assessore alle Attività produttive Francesco Sulla, ecco il laconico comunicato in cui la SEI afferma di aver chiesto la sospensione della procedura di valutazione di impatto ambientale e dell’iter autorizzativo per il suo progetto.
Un’opposizione pre-giudicata e insuscettibile di modifiche: la Regione Calabria è interessata a un progetto di riqualificazione dell’area ex-liquichimica in un’ottica turistica.
Un interesse nato dopo quasi quaranta anni di assoluto disinteresse e maturatosi proprio quando compare un progetto che, pur con i suoi inevitabili ma tutto sommato relativi costi ambientali, è comunque l’unico che si sarebbe certamente realizzato. Tutto il resto sono parole, solo parole: che hanno illuso e continueranno a illudere; che hanno prodotto e continueranno a produrre disoccupazione; mentre gli scheletri del miraggio industriale resteranno a testimoniare il fallimento della nostra classe politica regionale, intenta solo agli schemi di potere e lontana anni luce dai veri interessi della nostra Provincia; mentre la ciminiera, muta di fumi, resterà lì dov’è per tanti altri lustri a icona del potere lontano e inattingibile.
Kurt Lewin nel 1926, trasponendo in psicologia il secondo principio della termodinamica di Maxwell, affermò che i bisogni dell’osservatore organizzano il campo di osservazione. In altri termini, Lewin disse che l’attività cognitiva è improntata al problem solving e che, di conseguenza, un insieme viene letto o percepito con significati diversi a seconda degli obiettivi o delle necessità dell’osservatore.
Ciò premesso, è indubbio che a Reggio e Provincia vi sia un enorme problema da risolvere, quello della rimozione e/o riqualificazione di quel monumento alla malapolitica rappresentato dagli scheletri industriali di Saline; che si senta la necessità di diversificare i programmi di sviluppo, che non possono essere legati al solo turismo ma devono anche comprendere quelle attività primarie, come agricoltura e artigianato e piccola/media industria, in grado si assicurare un buon ammortizzatore in periodi di crisi; che sostanzialmente si tenda all’obiettivo di una quasi completa occupazione giovanile in attività lecite che assicuri benessere e tranquillità sociale; che per Saline non era stato presentato, prima di quello SEI, nessun progetto credibile.
La Questione Saline, “campo di osservazione”, si sarebbe dovuta valutare, “organizzare”, in base alle succitate proposizioni, “bisogni dell’osservatore”, e non in base a pur corrette valutazioni ambientali. Tutto ha un prezzo, tutto si deve pagare: solo un etico compromesso assicura la soluzione dei problemi sociali. Se l’attività cognitiva dei nostri amministratori fosse stata orientata al problem solving, non si sarebbe affrontato in maniera così integralista il problema della riqualificazione di Saline: si sarebbero valutati i pro e i contro dei vari progetti, giudicando anche in ragione della loro concreta realizzazione. Ma sembra che i nostri amministratori non siano tra i frequentatori di Kurt Lewin.