Anche se alla fine il nodo gordiano andrà comunque tagliato con una decisione netta e inequivoca, è il percorso decisionale che non può essere mortificato dalla logica del bianco/nero. L'ottica che andrebbe adottata, quindi, è di riuscire a contemperare i postulati di un pensare globale (interazioni tra emissioni di biossido di carbonio ed effetto serra, ecc.) con le esigenze dell'agire locale (rapporto costi/benefici tra produzione di polveri sottili e meccanismi di compensazione territoriale, ecc.).
Riporto alcune dichiarazioni di Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, e Beatrice Barillaro, presidente del WWF Calabria, pubblicate a commento dei dati forniti dall'istituto diretto da Renato Mannheimer: "La popolazione calabrese si è dimostrata molto più avanti di chi crede che il carbone abbia ancora un futuro come fonte di energia ... ha detto chiaramente di voler tutelare il clima globale, le proprie coste e la salute dell'ambiente e dei cittadini"; "Si condannerebbe la Calabria a rimanere ancorata a scelte energetiche del passato ... la Calabria ha una forte vocazione per le fonti rinnovabili in particolare solare, eolico e correnti marine."
Sono affermazioni "politiche" che, assolutamente deliranti se giudicate con un'ottica localistica, non sono corrette nemmeno se osservate in una prospettiva globale. Nel commentarle occorre inserire una non marginale considerazione.
I sondaggi popolari su temi implicanti una discreta conoscenza dell'argomento per poter esprimere un giudizio motivato, vanno sempre completati da dati attinenti alla competenza del campione esaminato. La qual cosa ha correttamente fatto l'Ipso, con un questo risultato: il 42% degli intervistati non sapeva nulla sulle centrali a carbone; il 23% non ne sapeva abbastanza. Questo 65% di ignoranza o incompetenza del campione interpellato inficia ab origine i risultati del sondaggio. Particolare non di poco conto, confermato anche dal direttore dell'istituto Ipso, che così si è espresso: "il tema si presta a grande confusione per i non addetti ai lavori, che confondono i problemi dell'effetto serra con quelli legati alla salute della popolazione". Più o meno quanto ci affanniamo a dire da anni.
Se questa "confusione" denunciata da Renato Mannheimer è naturale nel campione analizzato, vista la sua incompetenza, è decisamente stigmatizzabile nelle dichiarazioni del WWF in cui si mescolano, con una disarmante ingenuità (o malafede?), questioni globali (come l'effetto serra, dovuto a produzione di sostanze assolutamente innocue a livello locale) a problematiche locali (come la tutela del territorio, variabile che non può essere indipendente dal suo sviluppo).
Comunque, pur non qualificata, l'opinione pubblica va ascoltata, sia che dia risposte emotive sia che le dia meditate. Ma questo ascolto deve servire a indirizzare le scelte di fondo non a condizionare gli iter amministrativi: la decisione ultima sulla presenza o meno di rischi per la popolazione locale, come tutte le decisioni tecniche, dev'essere presa in ambiente scientifico e non può essere demandata ai sondaggi popolari. È questa, in buona sostanza, l'obiezione di fondo che è stata mossa dall'Ad delle Re-Power Fabio Bocchiola.
C'è da aggiungere che, anche attribuendo validità al sondaggio, in occasioni analoghe le percentuali di opposizione al carbone si sono rivelate più elevate (85%): la qual cosa ci dice, contrariamente a quanto dichiarato dai vertici del WWF, che il campione calabrese non è decisamente contrario al carbone.
Riguardo allo scenario internazionale, il WWF sottace un dato importantissimo: il modello energetico di riferimento. Quello tedesco è unanimemente ritenuto uno dei migliori e definito come virtuoso riguardo alla diffusione delle fonti rinnovabili. Ebbene, questo modello portato a esempio è composto da un mix che prevede la presenza del carbone in una percentuale maggiore del 40%.
Per quanto attiene alla difesa delle coste, infine, è come se il WWF parlasse da Marte: per più di trenta anni abbiamo convissuto con la visibile carcassa dell'infranto sogno dell'industrializzazione; abbiamo consentito che l'innaturale molo portuale di Saline alterasse le correnti marine costiere sì che il mare si mangiasse le spiagge di Capo dell'Armi e di Lazzaro; abbiamo tollerato che un microecosistema lacustre-salato si distruggesse forse per sempre; non siamo stati in grado di proporre alternative valide al dissennato progetto industriale, che intanto si raddoppiava con l'altro monumento all'inefficienza rappresentato dalle Officine Grandi Riparazioni.
Per più di trenta anni non si è prodotto nulla tranne che parole, peraltro sempre più distratte o rassegnate. Poi, oggi, arriva il WWF e pontifica: senza analizzare compiutamente i progressi ottenuti negli ultimi anni con le centrali di ultima generazione nello sfruttamento pulito ed ecosostenibile del carbone; senza pensare alla ricadute occupazionali, sia in fase di costruzione che di attività produttiva; senza considerare l'indotto e la possibile riconversione anche delle OGR; senza ammettere che quanto di caliginoso e sporco fatto vedere in brochure e depliant dai professionisti del volontariato ambientale si riferisce a un inquinante passato che abbiamo ormai alle spalle.
Dispiace aver dovuto dire quanto detto ma, pur apprezzando il meritorio impegno ambientalista del WWF, a fronte di inaccettabili sue proposizioni lesive degli interessi locali non si è poteva rimanere muti.