Eppure la storia va comunque schematicamente divisa in periodi che ne scandiscano il divenire: ecco nascere le cosiddette "date spartiacque", prima delle quali le cose vanno o si interpretano in modo diverso che dopo.
Una di queste date-spartiacque è il 10 agosto 1958, giorno in cui Luciano Liggio ammazza il suo boss Michele Navarra: è la sentenza di morte per la vecchia mafia siciliana, che rinasce vestendo gli abiti del moderno gangsterismo. Prima di allora, per una legge non scritta ma ampiamente condivisa, il mafioso aveva sotto il proprio controllo una definita area territoriale entro la quale aveva "diritto" di intervento e indirizzo sui rapporti sia sociali che economici. L'indiscussa autorità dell'uomo "n'tisu" derivava dalla riverenza e dal rispetto che, ritenendolo possessore e testimone dei propri valori, la comunità gli rendeva: questa, rifiutato lo Stato centrale, si era così data un suo ordinamento giuridico alternativo.
Ma non era solo la comunità locale a riconoscere l'autorità della vecchia mafia: addirittura lo Stato italiano è sembrato a volte demandarle di fatto il controllo del territorio e l'amministrazione della giustizia.
Un emblematico esempio. Quando morì Calogero Vizzini, sovrano della mafia insulare e interlocutore di alte cariche dello Stato, Guido Lo Schiavo, che allora ricopriva la carica di Procuratore generale dello stato presso la Corte di cassazione, così scrisse: "Si è detto che la mafia disprezza polizia e magistratura: è un'inesattezza. La mafia ha sempre rispettato la magistratura, la giustizia, e si è inchinata alle sue sentenze e non ha ostacolato l'opera del giudice". E più avanti nello stesso scritto: "Si sono avute di recente, in Sicilia, prove di un affiancamento della mafia alle forze dell'ordine". Ma non è tutto. In un momento successivo ebbe ancora a scrivere: "Oggi si fa il nome di un autorevole successore alla carica tenuta da don Calogero Vizzini in seno alla consorteria occulta. Possa la sua opera essere indirizzata sulla via del rispetto delle leggi dello stato e del miglioramento sociale della collettività".
In Sicilia, come in tutte le regioni meridionali e come nella nostra provincia, quei tempi sono definitivamente tramontati e il nuovo mafioso/gangster, divenuto semplice espressione di una delinquenza finemente organizzata, perduto insomma il carisma derivante dal personificare alcuni valori cardine della sua collettività, inviso sia all'ordinamento statale che alla cultura locale, è temuto ed obbedito dalla gente comune solo per la sua forza e ferocia. Il cittadino meridionale, che ha sempre ritenuto lo Stato un'entità lontana, a volte nemica e comunque incapace di dare risposte credibili ai suoi concreti bisogni, non riconoscendosi o identificandosi in nessuno di loro, è come se si trovasse schiacciato tra due poteri in lotta.
Il cittadino onesto finisce con l'essere il classico vaso di coccio tra quelli di ferro, che si rompe nella lotta tra i professionisti della mafia e i professionisti dell'antimafia.