Una pura constatazione di assenza stringe il pensiero in una morsa dolorosa: e a nulla vale il considerare che le umane e naturali vicende sono un continuo divenire in virtù del quale, citando Roberto Calasso nel suo “La folie Baudelaire” (Adelphi 2008, pag 71), “Qualunque sia il luogo, qualunque sia la condizione, c’è sempre un altro luogo, c’è sempre un’altra condizione che sono andati perduti per sempre”.
Puro lutto, quindi, per una scomparsa inaspettata e ingiustificata, che arreca un irreparabile vulnus a uno dei paesaggi caratteristici del water front reggino. Un’irrimarginabile ferita non solo al territorio ma ai nostri ricordi, nei quali il paesaggio urbano acquista la dignità poietica di produttore di immagini e visioni.
Non vale a consolarsi il constatare che nulla è dato per sempre e che l’unico tratto, quello decisivo, che accomuna tutti, uomini e cose, è quello di scomparire: l’insanabile inesistenza della porzione del paesaggio urbano scomparso per sempre, condanna il rimanente a esserne una versione ridotta, mutilata.
Una tale mutilazione, parafrasando Balzac citato da Calasso (ibidem, pag. 70), “è una di quelle dichiarazioni di protesta che i Reggini amano fare contro il buon senso”. Essa necessita di un’esemplare riparazione: affinché non faccia altri danni, liberiamoci del responsabile, mandiamolo a casa, licenziamolo in tronco. Sarebbe un atto esemplare e doveroso oltre che un gesto di rispetto per la sensibilità cittadina.