Lunedì, 16 Febbraio 2009 21:53

ANNO 3009 - REPORTAGE DAL SITO DELL’ANTICA REGGIO (RHEGION/RHEGIUM)

MENTRE SI PROSPETTA L’IPOTESI DI UN TRASFERIMENTO DEI BRONZI , UNA FANTACRONACA CI PARLA DEL RIUSCITO TENTATIVO NEL 2004 DELLA LORO CLONAZIONE.

Questa che segue è la leggenda dei Bronzi di Riace, che secondo qualche autore potrebbero essere realmente esistiti, così com'è stata ricostruita sulla base di antichi frammenti digitali risalenti alla fine del primo secolo del trascorso millennio.

 

Dopo un anno di aspre polemiche e di minacciate crisi istituzionali oltre che di paventate sommosse nella città di Reggio, che si opponeva a quello che riteneva un ennesimo scippo alla città perpetrato dal potere centrale regionale, nel 2004 i Bronzi furono finalmente clonati per divenire l'itinerante icona della Calabria.

Un'innovativa, per quei tempi, tecnologia aveva fornito i mezzi per una riproduzione tanto minuziosa e precisa da trasferire capillarmente in copia ogni minimo particolare, anche quel singolarissimo smalto fornito loro dall'età e dalla lunga esposizione nell'ambiente marino. Le emozioni che dava la loro visione, ovunque fossero trasportate, erano del tutto sovrapponibili a quelle che erano vissute dai visitatori del museo reggino, il Museo Nazionale della Magna Graecia: si era riusciti, infatti, a estrarre dagli originali e trasferire nei cloni anche quell'inspiegabile magnetismo (in quei tempi la scienza occidentale si stava aprendo alle intuizioni della filosofia orientale) che solo pochi allora ardivano chiamare spirito.

Insomma i cloni erano perfetti e, riproducendo gli originali fin nella loro struttura molecolare e nella loro storia e nella loro anima (cosa che i biologi non erano ancora riusciti a fare sulla materia vivente, le cui riproduzioni non avevano la memoria in comune con gli originali ed era come se nascessero all'atto della replicazione), ne erano di fatto indistinguibili.

 L'orgoglio del Governatore della Calabria era pertanto più che legittimo quando ne fece per la prima volta sfoggio nell'atrio della nuova sede della Giunta Regionale, proprio in quell'anno ultimata e inaugurata in Catanzaro con la cerimonia di presentazione dei Bronzi ai quali, una volta inserita la memoria storica, con squisita sensibilità d'animo era stata nascosta la loro vera origine. Stessa sensibilità era stata peraltro usata quando era stata eseguita l'acquisizione digitale dei dati antropo-psicologici sugli originali, cui si era fatto intendere trattarsi di un semplice routinario ceck-up.

Insomma, da allora di Bronzi ce ne furono quattro: due nella Città dello Stretto, due nel Capoluogo bruzio; e ogni coppia era all'oscuro dell'esistenza dell'altra.

 Il destino della città costiera nei decenni che seguirono fu di un lento ma inesorabile declino, che la portò a divenire quasi una baraccopoli ai margini di Catanzaro che, grazie anche a un'accorta politica promozionale basata sui Bronzi, si era trasformata quasi in una megalopoli ovvero in un grandissimo coordinato urbano divenuto uno dei baricentri culturali ed economici del Mediterraneo.

(Per inciso c'è da ricordare che una sorte analoga era toccata alla dirimpettaia Messina, divenuta un'ininfluente e povera bidonville posta all'estrema periferia nord dell'area metropolitana di Catania. Il comune triste destino delle città dello Stretto era stato determinato, secondo un trend planetario, dal progressivo concentrarsi delle attività economiche e commerciali e industriali di Calabria e Sicilia su poli metropolitani: due per la Sicilia, Catania e Palermo; uno per la Calabria, sull'asse Gioia-Lametia.)

 

Intanto ogni modifica prodotta dal tempo o dall'incuria dell'uomo sui Bronzi, miseramente destinati a una vita errabonda tra esposizioni museali e fiere di varia umanità o a fare bella mostra di sé nell'atrio del Palazzo del Governo, in virtù di un fino ad allora inspiegabile fenomeno, si riproduceva in tempo reale sui due rimasti in riva allo Stretto. Per la diabolica capacità dell'uomo a dimenticare o rimuovere fatti e circostanze ovvero a porre questi ai confini di una distorta storiografia, i Bronzi sullo Stretto col tempo erano stati etichettati come copie di nessuno o scarso valore e abbandonati al loro obliante destino nei sotterranei di quel Museo che ormai non era più meta di interessati visitatori o curiosi turisti. Nessuno si accorse, quindi, di ciò che di miracoloso stata accadendo.

 Ma venne un giorno in cui un illuminato Governatore della Calabria, cedendo alle richieste della popolazione reggina, concesse che i Bronzi di Catanzaro fossero esposti in quel che rimaneva del museo archeologico reggino per tentare di risollevare le sorti economiche di un borgo pronto a esplodere per fame in rivolta.

Quale lo stupore dei Bronzi, che si ritenevano opere uniche irriproducibili, a ritrovarsi di fronte a se stessi: con le stesse stimmate del tempo, con le stesse cicatrici dell'umana incuria, con lo stesso vissuto storico, con la stessa idealità, con la stessa anima!

Chi era copia e chi originale? Un'angosciosa crisi esistenziale li assalì, un'inestricabile conflitto d'identità si impossessò di loro. Si lasciarono quindi morire, annullandosi come materia e antimateria gli uni negli altri. Nulla di tangibile restò di loro: solo una labile traccia elettronica dispersa nell'universo, un'evanescente nuvola di memoria quantica, che un giorno forse sarà possibile ricostruire (ammesso che la storia ricostruita sulla base degli antichi frammenti digitali sia vera e che i Bronzi di Riace siano realmente esistiti).

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