Volevo solo dirle che il termine corretto è l'inglese "sprawl" (scompostamente sdraiato, spaparanzato, stravacato ecc.) in uso praticamente in tutto il mondo a descrivere, dagli anni '30 in poi, il fenomeno che lei poi sviluppa ineccepibilmente nel resto del pezzo, e che ovviamente non riguarda solo la Calabria, ma in pratica tutte le aree dove circolano automobili. Evidentemente nel nostro paese si tratta ancora di gergo un po' specialistico al limite dell'iniziatico, nonostante la grande popolarità (solo per fare un esempio) di opere letterarie per nulla di nicchia come la "Trilogia dello Sprawl" di William Gibson.
Tutto qui, la ringrazio per l'attenzione e cordiali saluti dall'area metropolitana milanese, dove la dispersione urbana forse è pure peggiore della vostra."
Ringraziandolo per la segnalazione, ho risposto all'attento lettore che, dal cognome, non sembra proprio un reggino della diaspora.
"Ringraziandola per l'attenzione - ringraziamento reale e non di facciata - le confesso di non conoscere l'inglese e di fare tante altre cose oltre a scrivere qualche riflessione su strill: ragion per cui scrivo il pezzo la sera e, rilettolo al mattino successivo, l'invio prontamente. Ho trovato il termine in Salvatore Settis e, nel riportarlo pedissequamente, ho commesso l'errore che poi non ho potuto correggere per la mancanza della specifica conoscenza linguistica. Nel prossimo intervento inserirò una nota di correzione. La ringrazio di nuovo."
Perché riportare la lettera e la risposta se sarebbe bastato pubblicare un semplice errata corrige? Indubbiamente per "lavare in pubblico i propri panni sporchi d'inchiostro"; ma anche per non perdere l'occasione di fare una veloce riflessione sul tallone d'Achille della comunicazione non cartacea.
Ho pubblicato con cadenza trisettimanale sui quotidiani "Il Domani della Calabria", dal 2001 al 2002, e "Il Quotidiano della Calabria", dal 2003 al 2007. Un refuso nel corpo del testo sarebbe stato possibile trovarlo ma non è mai successo che un errore, anche solo di battitura, comparisse nel titolo che suggerivo al redattore per la pubblicazione.
Lo scrivere su una testata on line, anche se nulla osta a una revisione più accurata dei testi, porta quasi naturalmente a far sì che la comunicazione sia più immediata, meno meditata, più istintiva e "sincera", pur avendo il tempo sufficiente a un'elaborazione più attenta e approfondita dei temi.
Viene fuori, più che nella comunicazione "mediata" dalla carta, l'animo di chi scrive: la sua storia affiora tra le parole, anche tra quelle non dette o a stento trattenute; le sue esperienze di vita intridono in maniera più percepibile la sostanza di ciò che si dice.
Ma i rapporti umani sono fatti anche di quella dose di insincerità che, più o meno grande o rilevante, è fondamentale al loro mantenimento.
Un esempio, tanto per intenderci. Se si pensa che l'interlocutore sia un minus habens, un illetterato incapace di rapportarsi, insomma un cretino, che diritto si ha di esplicitare questa opinione, offendendolo o offrendolo al ridicolo? Un altro esempio, ahinoi meno teorico. Se si pensa che degli acquartierati a Palazzo San Giorgio più della metà non siano all'altezza del compito assegnato loro dagli elettori, per inconsistenza contenutistica o leggerezza valoriale, di che utilità sarebbe per la collettività trattarli da tali? Dissimulare il disprezzo per i cretini e gli incompetenti/ladroni è un'insincerità indispensabile a chi non si voglia isolare.
Su facebook, al contrario che sulla carta, una parolina di troppo può scappare e si rischia di pagarla cara: vade retro, sinceritas? La scrittura al tempo di internet cambia e nuovi stili emergono: migliori? Non credo proprio! Ma ci sono, sono vincenti e, pur non scadendo nella banalità di facebook o nell'inconsistenza di twitter, di loro bisogna comunque tener conto: anche a rischio, come nel mio caso, di qualche inconveniente.